Domenica, 13 Dicembre 2009 00:00

"CANTO CLANDESTINO" DI SCENA IN SVIZZERA

Prosegue il cammino di “Canto clandestino” sui palcoscenici. La pièce teatrale, tratta dal testo del collega lucano Mimmo Sammartino, giornalista e scrittore, autore di “Un canto clandestino saliva dall'abisso” (Sellerio editore Palermo), adesso ha calcato i palcoscenici della Svizzera. A Grugliasco questo “concerto di voci, versi e sciagurata verità per violino e percussioni” aveva visto in scena la stessa Patrizia Schiavo, Vito Gravante, Gloria Liberati, Raffaella Tomellini, Gabriele Ciavarra, con musiche di Zeno Gabaglio, Gregorio Di Trapani, Marta Duarte e Abdon Kovamou. Patrizia Schiavo e la sua Compagnia Nuovo Teatro ne ha ora proposto una versione “più agile” per la messa in scena in Svizzera. L’ultimo spettacolo allestit nella nazioneelvetica è in cartellone per oggi, 13 dicembre, nella Fabbrica Losone a Locarno. “Canto clandestino”, così come propone il testo di Sammartino, è “la trasfigurazione lirica di fatti realmente accaduti”. E i fatti si riferiscono al più grande naufragio avvenuto nel Mediterraneo dopo la Seconda Guerra Mondiale. Era la notte fra il 25 e il 26 dicembre del 1986 quando, al largo di Capopassero, nel corso di una tempesta e sotto la minaccia delle armi, oltre trecento migranti (provenienti da India, Pakistan e Srli Lanka), furono costretti a trasbordare dalla grande nave Yohan sul peschereccio F 174.

"CANTO CLANDESTINO" DI SCENA IN SVIZZERA

Prosegue il cammino di “Canto clandestino” sui palcoscenici. La pièce teatrale, tratta dal testo del collega lucano Mimmo Sammartino, giornalista e scrittore, autore di “Un canto clandestino saliva dall'abisso” (Sellerio editore Palermo), adesso ha calcato i palcoscenici della Svizzera. A Grugliasco questo “concerto di voci, versi e sciagurata verità per violino e percussioni” aveva visto in scena la stessa Patrizia Schiavo, Vito Gravante, Gloria Liberati, Raffaella Tomellini, Gabriele Ciavarra, con musiche di Zeno Gabaglio, Gregorio Di Trapani, Marta Duarte e Abdon Kovamou. Patrizia Schiavo e la sua Compagnia Nuovo Teatro ne ha ora proposto una versione “più agile” per la messa in scena in Svizzera. L’ultimo spettacolo allestit nella nazioneelvetica è in cartellone per oggi, 13 dicembre, nella Fabbrica Losone a Locarno.  “Canto clandestino”, così come propone il testo di Sammartino, è “la trasfigurazione lirica di fatti realmente accaduti”. E i fatti si riferiscono al più grande naufragio avvenuto nel Mediterraneo dopo la Seconda Guerra Mondiale. Era la notte fra il 25 e il 26 dicembre del 1986 quando, al largo di Capopassero, nel corso di una tempesta e sotto la minaccia delle armi, oltre trecento migranti (provenienti da India, Pakistan e Srli Lanka), furono costretti a trasbordare dalla grande nave Yohan sul peschereccio F 174. Il mare in burrasca e la chiglia incrinata dell'imbarcazione più piccola, furono fra le probabili cause del naufragio: 183 persone, molti erano soltanto dei ragazzi, finirono in fondo al mare. Ci furono solo 29 sopravvissuti e, dopo aver toccato terra, denunciarono la tragedia. Ma, per anni, le loro parole furono ignorate. Non furono creduti né loro, né i parenti delle vittime che chiedevano solo di poter recuperare i corpi dei loro congiunti per concedere loro degna sepoltura. Per quasi cinque anni, su quelle morti calò il silenzio. Nonostante i pescatori di Portopalo continuassero a pescare, nelle loro reti, pezzi di corpi. Ma, per anni, restarono solo annegati-negati. Perché fu negata loro verità, giustizia e compassione. Solo quando uno di quei pescatori di Portopalo, Salvatore Lupo, decise di infrangere quel patto tacito del silenzio, fu possibile scoprire la tragica verità: i corpi degli annegati e il relitto della F 174 erano inabissati a 108 metri di profondità a pche miglia al largo di Capopassero. Ma quei resti umani non furono mai recuperati. Nè è stato possibile far pagare ai responsabili del disastro, davanti a un tribunale, le loro colpe. “Un canto clandestino saliva dall'abisso”, così come la sua versione teatrale (“Canto clandestino”), prova a restituire voce a quei lunghi silenzi. E suggerisce un po' di pietà dinanzi alle storie di uomini come noi. Uomini che, pur senza altra colpa, sono condannati a essere chiamati per sempre “clandestini”. Da vivi e anche da morti.

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