Venerdì, 30 Gennaio 2009 00:00

DOMENICO RAMBELLI AL MUSMA

Domenica scorsa, nelle sale del MUSMA. Museo della Scultura Contemporanea. Matera, è stata inaugurata la mostra antologica di Domenico Rambelli che continua il programma di rilettura della scultura del Novecento iniziato nell’ottobre 2006. L’esposizione, a cura di Giuseppe Appella, comprende 10 sculture (tra queste: L’incurabile, 1905; Ritratto di Francesco Beltramelli, 1908; Autoritratto, 1920; Popolana che canta, 1922; Il fante morente, 1925-1927, coll. MUSMA; Busto di Franco Ciarlantini, 1926; Myrtia Ciarlantini, 1929; Ritratto di Minto Ghirlandi, 1960) e 50 disegni datati 1905-1960, oltre a un ricco apparato di immagini e documenti, spesso inediti, che mettono in evidenza il lungo percorso espressivo dello scultore faentino e l’impegno profuso nella realizzazione di monumenti sottratti alla retorica fino a quel momento evidente nelle piazze e nei cimiteri di tutta Italia. Scrive Rambelli: “Questi monumenti hanno provocato grande rumore a causa di una ricerca di forma larga e piena che tende ritrovare lo smarrito senso dello statuario monumentale che regge lo spazio”.

DOMENICO RAMBELLI AL MUSMA

 

Domenica scorsa, nelle sale del MUSMA. Museo della Scultura Contemporanea. Matera, è stata inaugurata la mostra antologica di Domenico Rambelli che continua il programma di rilettura della scultura del Novecento iniziato nell’ottobre 2006. L’esposizione, a cura di Giuseppe Appella, comprende 10 sculture (tra queste: L’incurabile, 1905; Ritratto di Francesco Beltramelli, 1908; Autoritratto, 1920; Popolana che canta, 1922; Il fante morente, 1925-1927, coll. MUSMA; Busto di Franco Ciarlantini, 1926; Myrtia Ciarlantini, 1929; Ritratto di Minto Ghirlandi, 1960) e 50 disegni datati 1905-1960, oltre a un ricco apparato di immagini e documenti, spesso inediti, che mettono in evidenza il lungo percorso espressivo dello scultore faentino e l’impegno profuso nella realizzazione di monumenti sottratti alla retorica fino a quel momento evidente nelle piazze e nei cimiteri di tutta Italia. Scrive Rambelli: “Questi monumenti hanno provocato grande rumore a causa di una ricerca di forma larga e piena che tende ritrovare lo smarrito senso dello statuario monumentale che regge lo spazio”. Infatti, tutti i faentini raccolti nel “cenacolo di amici” di Domenico Baccarini (Ercole Drei, Francesco Nonni, Giovanni Guerrini, Giuseppe Ugonia, Orazio Toschi, Riccardo Gatti e Pietro Melandri, del quale il MUSMA possiede un nutrito gruppo di opere), pur conservando una traccia di liberty o di simbolismo tipici di quegli anni, non scadevano mai nella maniera, perché la propensione era verso l’espressionismo, un po’ terragno, come giustamente lo definisce Barilli, quindi con scarsi debiti nei riguardi della Germania, proprio come accade agli altri due compagni di strada di Rambelli: Arturo Martini e Lorenzo Viani. L’esigenza di essenzialità contraddistingue subito Rambelli nel lavoro che compie sulla figura umana. Senza farsi mai condizionare dai canoni di bellezza ancora imperanti in quasi tutto il “Novecento” della Sarfatti, affronta l’organismo umano servendosi di schemi che tengono conto della geometria, espressiva e dinamica ma sottratta, al tempo stesso, sia al primo futurismo che al richiamo all’ordine. Perciò, è asciutto, essenziale, senza mai spegnere lo spirito vitale che anima l’immagine, quasi sempre legata ai temi della sua terra d’origine, alla cultura contadina della frazione faentina da cui proviene.

Letto 236 volte