Mercoledì, 15 Giugno 2011 05:04

IL CAPPELLO SUL REFERENDUM

Il risultato referendario era sufficientemente prevedibile, eccezion fatta per il raggiungimento del cosiddetto quorum. Superato quest’ultimo (anche se non va sottaciuto che oltre il 40 per cento degli aventi diritto non si è recato alle urne) sin dalle primissime proiezioni è apparso evidente che ci saremmo trovati di fronte a un pronunciamento plebiscitario per quattro abrogazioni. Hanno ragione a esultare e darsi ai festeggiamenti i componenti dei comitati referendari.

Ha lo stesso diritto Italia dei Valori e Antonio Di Pietro, che ha avviato e sostenuto la raccolta delle firme necessarie almeno a due referendum in tempi non sospetti e, anche se non ufficialmente, sconsigliato dagli altri partiti di centrosinistra. Lo stesso si può dire per la Sel di Nichi Vendola, che ha saputo sostenere l’impegno dei comitati. Ha vinto, insomma la gente che, chiamata alle urne, ha voluto sconfiggere la paura del nucleare, l’abuso del legittimo impedimento e l’ignominia dell’acqua privata. Ciò conferma, se ce ne fosse il bisogno, che l’istituto del referendum, se usato in situazioni di emergenza istituzionale, serve a correggere orientamenti sbagliati e a cassare provvedimenti iniqui. Tutto ciò è stato riconosciuto dallo stesso presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, nei confronti del quale è in atto un’ultima azione di scardinamento , mediante l’utilizzo del grimaldello referendario. Appare singolare, ma non è Di Pietro a usare quello strumento. A forzare la “saracinesca” del centrodestra sono i rappresentanti del Pd che, dopo essersi aggregati tardivamente al percorso elettorale, sono stati i primi a salire sul carro del vincitore, a gridare “Abbiamo vinto!” e a utilizzare in chiave politica il risultato. Per una volta Di Pietro ha ragione: sono tanti quelli che vogliono mettere il cappello sulla vittoria referendaria, ma la paternità dell’operazione spetta a pochi (anzi, pochissimi) politici e a molti (anzi, moltissimi) cittadini.

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