Mercoledì, 13 Ottobre 2010 10:58

LA VITA E LA MORTE

Ci colpiscono due fatti di cronaca di questa settimana.Il primo, felicemente positivo riguarda il ritorno alla luce dei minatori cileni di Atacama che, grazie a una accortissima perforazione di una nuova galleria, stanno risalendo dalla tomba di settecento metri nella quale erano rimasti prigionieri per un crollo, in Cile, per diverse settimane.

 Bravi i tecnici, bravissimi i minatori, che hanno saputo resistere (per quanto seguiti e confortati sin dai primi giorni di “sepoltura” dagli esperti) e non cadere nella disperazione. Li abbracciamo tutti, idealmente, in questa Pasqua laica di resurrezione. Il secondo, drammatico, riguarda la scomparsa in servizio di quattro militari italiani in Afghanistan. Caduti nel compimento del loro dovere, impegnati in una missione di pace, i quattro alpini hanno pagato con la vita l’aver ossequiato con spirito di servizio e con abnegazione, agli impegni sottoscritti dall’Italia tra le forze internazionali che dovrebbero garantire pace e stabilità alla martoriata nazione afgana. Il dolore degli italiani è stato espresso dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Mentre si accende, con toni palesemente strumentali, il dibattito politico sulla presenza del contingente italiano in quella che alcuni non riescono più a considerare come una missione di pace, il pensiero de Il Pomeridiano va ai caduti e alle loro famiglie. Assurde le richieste dell’uso di mezzi bellici atti a offendere e non solamente a difendersi. Altrettanto inconcepibile ci appare il richiamo alla Costituzione e al “ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli”, contenuto nell’articolo 11. Checché ne possano dire alcuni, gli italiani sono impegnati in una missione di pace e chi fa il soldato di professione sa perfettamente che non si tratta proprio di un lavoro burocratico di sportello e che si può morire anche in una missione di pace. I nostri militari lo sanno bene. Dovrebbero impararlo anche i politici.

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