Lunedì, 23 Giugno 2008 00:00

CARA BENZINA CARO GAS…

Contrappunti ospita un articolo pubblicato su Virgilio. Da non perdere. Pagare oggi per quanto è stato speso oltre 70 anni fa. Non piacerebbe a nessuno. Eppure, anche se pochi ne sono consapevoli, il salasso che colpisce gli italiani a ogni pieno di benzina è in parte dovuto al finanziamento della guerra d’Etiopia. Stiamo parlando del lontano 1935. Una data da ricordare al prossimo, costosissimo rifornimento di carburante. Non è l’unica bizzarria che nascondono i prezzi dei prodotti italiani dell’energia. Partiamo dai carburanti. Nel corso degli anni si sono andate a sommare le seguenti accise: 1,90 lire per il finanziamento della guerra d’Etiopia del 1935; 14 lire per il finanziamento della crisi di Suez del 1956...

CARA BENZINA CARO GAS…

Contrappunti ospita un articolo pubblicato su Virgilio. Da non perdere.

Pagare oggi per quanto è stato speso oltre 70 anni fa. Non piacerebbe a nessuno. Eppure, anche se pochi ne sono consapevoli, il salasso che colpisce gli italiani a ogni pieno di benzina è in parte dovuto al finanziamento della guerra d’Etiopia. Stiamo parlando del lontano 1935. Una data da ricordare al prossimo, costosissimo rifornimento di carburante. Non è l’unica bizzarria che nascondono i prezzi dei prodotti italiani dell’energia. Partiamo dai carburanti. Nel corso degli anni si sono andate a sommare le seguenti accise: 1,90 lire per il finanziamento della guerra d’Etiopia del 1935; 14 lire per il finanziamento della crisi di Suez del 1956; 10 lire per il finanziamento del disastro del Vajont del 1963; 10 lire per il finanziamento dell'alluvione di Firenze del 1966; 10 lire per il finanziamento del terremoto del Belice del 1968; 99 lire per il finanziamento del terremoto del Friuli del 1976; 75 lire per il finanziamento del terremoto dell’Irpinia e Basilicata del 1980; 205 lire per il finanziamento della guerra del Libano del 1983; 22 lire per il finanziamento della missione in Bosnia del 1996; 39 lire per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004. Anni e anni di storia, crisi internazionali e calamità naturali, riunite in un’imposta. Nulla di grave se non fosse che, in ultima analisi, il 55% del prezzo di un litro di “verde” e il 45% di quello del gasolio finisce in tasse. In altre parole, per ogni euro speso in benzina senza piombo, 55 centesimi non entrano nel serbatoio ma finiscono nelle casse dello Stato. Con il gas le cose non vanno molto meglio. Poniamo caso che una famiglia, con consumi inferiori ai 200mila metri cubi all’anno, si veda recapitare una bolletta da 100 euro. È bene che sappia che solo 37 euro servono a coprire il costo della materia prima utilizzata, ovvero il gas. Tutto il resto serve a remunerare la filiera distributiva. Ovviamente, all’aumento dei prezzi delle materie prime – come gas e petrolio – si accompagna, in proporzione, quello delle imposte. Nel caso dell’energia elettrica, le decisioni passate incidono ancora più pesantemente sulle tariffe attuali. L’8,2% di quanto pagato è legato a “oneri di sistema”. Mentre si parla di rilancio del nucleare, quanti italiani sono consapevoli di pagare bimestralmente i costi dello smaltimento delle vecchie centrali chiuse con il referendum del 1987? Se controllate bene le voci di spesa li troverete: sono nascosti all’ambigua voce “componente A2”. Entro il 2024, l’anno della bonifica dell’ultimo sito, gli italiani avranno versato più o meno inconsapevolmente 12 miliardi di euro; in vecchie lire, fanno un bel po’ di zeri: ben 12. Ma non è l’unica “bizzarria” nascosta nella bolletta dell’elettricità. La “componente A3” copre i costi per il finanziamento degli incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate. Peccato che l’energia venduta al gestore del sistema elettrico sia solo formalmente prodotta con fonti “pulite”. In linea di massima si tratta delle classiche – e inquinanti – fonti fossili. Però l’operazione consentirà di racimolare altri 12 miliardi di euro. Alla voce “A4”, ufficialmente “costi per il finanziamento dei regimi tariffari speciali”, troviamo le agevolazioni riconosciute ad alcuni soggetti, come le ex acciaierie di Terni, la Alcoa per gli stabilimenti di Porto Vesme e Fusina e le Ferrovie dello Stato come risanamento per le centrali idroelettriche trasferite senza indennizzo all’Enel al momento della nazionalizzazione. In bolletta si trovano poi le componenti MCT, ovvero il “corrispettivo a copertura del Finanziamento delle misure di compensazione territoriale per lo smantellamento delle centrali nucleari”: in parole povere, le sovvenzioni garantite ai comuni che ospitato depositi di scorie radioattive. Dulcis in fundo, ogni anno sugli “oneri di sistema”, che potrebbero essere assimilabili a elementi fiscali, gli italiani pagano anche le tasse. Circa 700 milioni di euro all’anno. Oltre al danno, la beffa.

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