Stampa questa pagina
Giovedì, 11 Ottobre 2007 00:00

TUTTI PER UNO E SEGUENTI

Nell'attesa di reperire altri episodi dagli annales del conte Jean Napoleon Alexandrempereur de la Charel, vi proponiamo nelle pagine di questa rubrica tutti gli scritti che il Pomeridiano ha ritrovato su questo illustre figlio del passato, così originale ma al tempo stesso così simile a qualche politico materano di oggi. Buona lettura.

Nell'attesa di reperire altri episodi dagli annales del conte Jean Napoleon Alexandrempereur de la Charel, vi proponiamo nelle pagine di questa rubrica tutti gli scritti che il Pomeridiano ha ritrovato su questo illustre figlio del passato, così originale ma al tempo stesso così simile a qualche politico materano di oggi. Buona lettura.

TUTTI PER UNO 19/9/2003

In un anno imprecisato della seconda metà del Seicento una congrega di provenzali si riunì per festeggiare il genetliaco del loro amico Leon de la Rose. Era una festa a sorpresa, dal momento che il festeggiato, uomo di peso poco avvezzo a simili debolezze, non avrebbe accondisceso a rammollirsi in convivii, per quanto apprezzasse la compagnia dei suoi fedelissimi. A organizzare il banchetto era stato il suo parente diretto Antoine de Lion, giovine spadaccino di buona tempra. Alla tavola, imbandita con ogni sorta di vivande e di manicaretti ricercati sedevano Francoise de Saint, abile nell’uso del fucile, Vincent Janvier, saggio uomo di legge, Marian de la Jammé, balistario, Josef De Maitre, archibugiere, Gae de Saint Arciére, esperto di macchine militari, Frank Foam, gentiluomo inglese di antichi natali, Frank Rock, mastro d’ascia irlandese e Domingo de la Suerte, nobiluomo di Spagna, colto e fine letterato. Mentre procedevano le libagioni irruppe sulla scena, accompagnato dal fido camerlengo Michel de la Armature, il Connestabile di Provenza, Sua Grazia Illustrissima il conte Jean de la Charel. Tutti fecero buon viso a cattivo gioco e proseguirono nella manducazione. Al momento dei brindisi augurali, ognuno ebbe parole colme di affetto, stima e commozione per il festeggiato. Sua Grazia, no. Preferì parlare del suo argomento preferito, per i poco informati il potere della politica, e intrattenne i commensali con un discorso di ampio respiro sulle scelte “delli territori dello regno”, che abbisognavano di un degno rappresentante, coincidente con la sua augusta e insostituibile persona. E concluse con un “Tutti per uno”, mutuato dai moschettieri del Re, volendo chiamare i presenti a un patto di sangue nei suoi riguardi. Le cronache non riportano se i presenti risposero con il classico “Uno per tutti”, dal momento che tutti sapevano che Sua Grazia preferiva il “Tutto per sé”. Ah, la Storia, palestra di vita!

 ANGOSCE NOTTURNE

Il conte era preoccupato. Egli era solo nella sala di rappresentanza del suo palazzo, in una notte della seconda metà del Seicento. Sul tavolo, tra le carte, il candeliere e gli strumenti di scrittura, faceva capolino un crocifisso. Si trattava di una pregevole opera artigianale, messa lì non tanto per fede, quanto per compiacere gli alti prelati di Avignone, che lo reputavano di pii e morigerati costumi. I pavimenti erano ricoperti di tappeti preziosi, frutto di un personale raggiro del conte nei riguardi di un mercante orientale, al quale aveva elargito molte promesse e pochi denari. Lo sfarzo dei mobili e delle suppellettili era consono al gusto dell'uomo. Essendo di umili origini (aveva comperato, in seguito, il titolo), egli privilegiava tutto quanto brillasse dei colori dell'oro, anche se di lega non esattamente preziosa e per giunta di greve fattura. La boiserie era ridondante di stucchi dorati, amorini, piccole cariatidi e telamoni, ad uso della recente moda che vedeva nel ritorno alla vita semplice (?) dei pastori d'Arcadia un pretesto per decorare, con addobbi floreali e pesanti rappresentazioni agresti, ogni ambiente. Mentre beveva un bicchiere di Arquebuse (un forte distillato d'uva, del quale era inguaribilmente goloso), il conte meditava. Il suo dominio sui fatti politici e amministrativi della Provenza era quasi assoluto, ma alcuni episodi non gli permettevano di dormire sonni tranquilli. Sapeva, il conte. che avrebbe potuto fidarsi ciecamente del suo vassallo Gomez de la Mano Muerta, da anni a lui vicino e amministratore di un suo tenimento. Lo stesso poteva affermare di Damien de la Pompe, maestro di cappella, acritico chaperon ed esecutore d'ordini. Ma l'opposizione che trovava alla nomina del Soprintendente alle Cloache lo rendeva furibondo. Aveva scelto per il poco olezzante incarico il cavaliere Jean Capote, valente danzatore di gavotta, suo amico di scorrerie notturne (per quanto capace di vendersi senza esitazioni al nemico), ma la cosa trovava ancora ostacoli. Si opponeva al suo protetto il barone Charles Prurigineux, un nobile confinante dell'area costiera, che voleva affidare il puteolente mandato al suo fido Josef Toupet. Chi l'avrebbe spuntata?

UNA TEMPESTA 3/12/2003

Il conte era imbufalito. Era costretto, giorno dopo giorno, a constatare che la più marchiana incapacità pervadeva i cervelli dei suoi sostenitori. La cosa, per certi versi, lo aveva lusingato a lungo, specie quando si trattava di disporre di fedeli e zelanti esecutori di ordini. Ma, trop c’est trop! Ancora soffiava dalla froge per il disappunto. Si era mosso in soccorso, seppure di malavoglia, del suo più zelante famiglio, quel Damien de la Pompe, maestro di cappella, che si lambiccava il cervello tra biscrome e s partiti. Per ricompensarlo di tutti i servigi che gli forniva, il conte lo aveva messo a capo del Grande Coro di Cappella delle due Provenze, quella Citeriore e quella Ulteriore. La Mairie di Marsiglia, però, aveva finanziato scuole e spettacoli di musica e teatro senza dargliene comunicazione. Il maire Michel Porcher, consigliato da uno scrivano in odore d’eresia, tale Michel Morel, aveva dispensato denari a musici, saltimbanchi, attori, mimi e prestidigitatori per allietare nobiltà, clero e popolino in occasione del decennale di una grazia ricevuta dalla città. Al conte, poi, era parso davvero inaudito il comportamento dell’alfiere Jean Matraque (suo uomo di fiducia messo al servizio di Porcher) che, nelle “pubbliche grida”, aveva magnificato la cosa. Non ci aveva visto più. Inforcato tricorno e bastone il conte, seguito a ruota dal de la Pompe, era andato dal maire per cantargliene quattro, ma non l’aveva trovato in sede. Allora aveva tuonato contro Morel, colpevole di aver distolto (senza ascoltare il suo augusto parere) pochi luigi dalle casse del Coro, per farne cattivo uso. Un vero fortunale di roboanti verbosità, che aveva coinvolto anche il frastornato Matraque. Ma, per fortuna, il tutto si era placato. Era stata la solita tempesta, nel solito bicchiere…

UNA SERATA DA DIMENTICARE 15/1/2004

Il conte era infuriato. Infuriato e depresso nel contempo. Il Grande Coro di Cappella delle due Provenze, affidato al suo fido Damien de la Pompe, non era gran che piaciuto. Alla sua prima uscita ufficiale, l’importante e costosa istituzione, aveva ricevuto solo critiche dai musicisti e dai commentatori di Marsiglia. Per un incomprensibile capriccio del conte, il Coro non aveva eseguito né uno “Stabat Mater” né un’opera monteverdiana, ma una miscellanea di arie popolari e musiche di operine pastorali di secondaria importanza. Anche la declamazione dei versi del poeta Raphael Negre, affidata alla valentia dell’attore Marian Rigiroux, unica nota di rilievo della serata, aveva provocato un altro travaso di bile al nobiluomo. Negre, acclamato e chiamato sul palco, aveva ringraziato il viceré della Provenza e i nobili presenti, dimenticandosi di citare espressamente il conte. Tutti, dal maire Michel Porcher, ai fedelissimi Jean Capote, Jean Matraque,  Michel de l’Armature, Marion de la Jammeé, Gae de Saint Arcìere, Josef de Maitre e Mariùs Mureé, avevano avuto parole di cortesia e di apprezzamento per la serata, ma egli aveva capito che erano tutte espressioni di circostanza. Anche gli ospiti della Provenza ulteriore avevano avuto parole di encomio, ma non bastava. Le cronache dei giorni successivi erano state caratterizzate dal circolare di notizie e di scritti non proprio lusinghieri sul suo conto e su quello del De la Pompe. Si vociferava del costo eccessivo della serata, del livello non proprio eccelso delle musiche e dei canti ascoltati, della scarsa incisività del nuovo camerlengo Jean Roch Grillon. Ovviamente erano tutte menzogne e illazioni prive di fondamento, ma ogni parola, ogni allusione, perfino ogni ammiccamento erano per il conte altrettante stilettate. E, come se non bastasse, anche l’arredo del teatro di corte non era stato all’altezza delle sue magnificenti aspettative. Ancora una volta, constatava amaramente che nessuno, fatta eccezione per il precedente camerlengo (esiliato per futili e ingiustificati motivi), era in grado di tradurre il suo augusto pensiero in un’azione adeguata. Ma, ormai, era troppo tardi. Il nobiluomo non era più disponibile a farsi tiranneggiare da Sua Grazia il conte Jean, Napoleon, Alexandrempereur de la Charel. Ogni sera, durante il desinare notturno, il conte tornava con i suoi sodali sull’argomento e spegneva temporaneamente la sua ira al solito modo. Correva l’anno 1654. Grandi e terribili cambiamenti di profilavano all’orizzonte…

LA RIVOLTA DEI FUOCHI  5/2/2004

 Il conte era davvero avvilito. Meditava sull’ingratitudine umana e sulla sfrontatezza dei suoi sudditi. Aveva affidato al soprintendente ai focolari, al secolo Josèf Philippe, il delicato incarico di censire e intervenire con un nuovo balzello sui “fuochi” presenti nella Provenza. In verità, il conte non aveva fatto altro che applicare una regia disposizione che mirava a rastrellare altri denari dalle magre scarsella dell’Ile de France. Si trattava, in pratica, di rilevare, mediante l’impiego di carbonai e scopini annusatori, di che quantità e qualità fossero le esalazioni provocate dai camini dei provenzali. Di cotal guisa – si era detto il conte – sarebbe stato non solo possibile applicare una decima per le rilevazioni olfattive, ma anche affibbiare sanzioni ai malcapitati che avessero usato, per esempio, oltre alla comune legna da ardere, anche sterco animale equino. La purezza dell’aria era un bene prezioso, si era più volte ripetuto il conte, e appestarla con simili pratiche solo per il malvezzo di riscaldarsi o cuocere minestre, non era assolutamente tollerabile. La notizia era trapelata con la velocità del baleno e, in men che non si dica, il conte si era ritrovato in una jacquerie degna di una recente sollevazione dovuta al rincaro del pane e avvenuta in quel di Milano qualche mese prima. Pressato dalla popolazione inferocita,accorsa prontamente per difendere l’antico diritto al fuoco, il nobiluomo aveva dovuto ritirare l’editto e rinviare il tutto a tempi migliori, attribuendo la responsabilità del “misfatto” al Philippe. Ma non poteva esimersi dall’essere triste e deluso, anche perché a rivolta aveva aggravato le sue auguste preoccupazioni, provocate dalle continue, ostili e pervicaci manifestazioni di inimicizia e insubordinazione che provenivano dai Circles de la Fronde, congreghe segrete di giovani nobili che mal digerivano il suo prepotere. E non era finita qui. Correva l’anno 1654. Altre pericolose ed esiziali mutazioni di profilavano all’orizzonte…

FORZIERI E DOBLONI  19/2/2004

 Che delusione!. Il conte Jean Napoleon Alexandrempereur de la Charel era sempre più mortificato dalla insipienza dei suoi amici e collaboratori più diretti. Aveva appena chiuso, vittoriosamente, una scaramuccia con quegli insopportabili sovversivi appartenenti ai Circles de la Fronde (mettendo a capo del bureau de controle uno dei suoi fidi, Josèf de la Renard) e già si prospettava la necessità di un suo autorevole intervento per tacitare un altro scandalo. Il soprintendente alle cloache, Jean Capote (del quale, voi lettori, avrete di certo contezza) ne aveva combinata una delle sue. Dovendo egli custodire un’ingente somma di doppie in oro, in arrivo dalla Tesoreria regia e da destinare alla costruzione di altre condotte fognarie, il tapino aveva ben pensato di utilizzare il suo forziere di famiglia. La cosa, sia chiaro, era stata fatta in tutta buona fede e ingenuità. Così agendo, però, il Capote (rischiando di doverne pagare di persona le conseguenze con l’esposizione alla gogna nella pubblica piazza di Marsiglia) aveva troppo tardi appurato che le rigide disposizioni regali prevedevano l’utilizzo di appositi forzieri, in modo da non permettere alcuna commistione tra la regia pecunia e quella di propria appartenenza. Capote si era confidato (versando amare lacrime nell’Arquebuse) con il conte che, dopo essere andato su tutte le furie, aveva trovato la soluzione. In fretta e furia, costringendo mastri d’ascia, ebanisti e fabbri a trentasei ore di ininterrotto lavoro, era stato realizzato il nuovo forziere, dotato di serrature inviolabili e reso inscalfibile grazie a una intercapedine di ferro. La mano dritta del Capote era salva, ma le doppie d’oro non erano ancora arrivate. Erano state dirottate, inspiegabilmente verso la soprintendenza alle acque pubbliche. Che delusione!

 

Letto 1080 volte