Il treno è partito. Precisamente alle 11,00. L'annuncio oggi non desta interesse ma centottantatre anni fa fece scalpore.
Nella storia scritta dai vincitori (leggi piemontesi) la ferrovia borbonica serviva soltanto a trasportare, come per gioco, i reali da Napoli a Portici. Una calunnia, purtroppo. Ecco come fu distrutto un prosperoso opificio meridionale. Nel Regno delle Due Sicilie, alla presenza di re Ferdinando II di Borbone alle ore 11, 00 del 3 Ottobre 1839 viene inaugurata la prima ferrovia italiana: la Napoli – Portici. Il treno, composto di otto vagoni trainati da una locomotiva a vapore di fabbricazione inglese battezzata “Vesuvio”, trasporta i primi 258 passeggeri lungo i settemila e 406 metri di percorso. Da Napoli a Portici in 10 minuti. Il treno inaugurale è composto da due convogli trainati da locomotive gemelle: la Bayard e la Vesuvio, progettate dall’ingegner Armand Bayard de la Vingtrie, su prototipo dell’inglese George Stephenson. Lo sviluppo delle strade ferrate è la punta di diamante della strategia politico-economica del sovrano. Occorreva quindi individuare un luogo più ampio dove realizzare un nuovo e più grande opificio. La scelta cade su Pietrarsa, l’antica Pietra Bianca divenuta Pietrarsa dopo essere stata raggiunta e “arsa” dalla lava del Vesuvio durante l’eruzione del 1631. Qui inizia la costruzione delle prime sette locomotive costruite con materiali inglesi. Le locomotive si aggiungono a quelle di fabbricazione inglese arrivate nel regno tra il 1842 e il 1844. Lo Zar Nicola I di Russia visita le officine su invito di Ferdinando. L’interesse e l’ammirazione per il complesso è tale che lo Zar ordina al suo ingegnere Echappar di rilevare la pianta dello stabilimento con la sistemazione delle macchine, perché venga riprodotta esattamente nel complesso industriale di Kronstadt in costruzione in Russia. Nel 1847 L’opificio è in pieno sviluppo, vi lavorano 500 operai. Nel 1853 Pietrarsa è all’apice della sua crescita e della sua capacità produttiva: è il primo nucleo industriale d’Italia (precede di 44 anni la fondazione della Breda e di 57 anni quella della Fiat). Vi lavorano quasi 700 operai. Nel 1860, nel mese di settembre Giuseppe Garibaldi visita Pietrarsa. Giunge senza preavviso e si fa guidare tra i reparti da un guardiano delle sale. Nel frattempo cade il Regno borbonico. L’anno successivo, con l’unità d’Italia, Pietrarsa passa in gestione al Governo italiano e l’ingegnere Sebastiano Grandis, incaricato dal Governo di redigere una relazione sull’ex opificio borbonico di Pietrarsa, presenta una relazione negativa sull’attività delle officine (costo eccessivo dei materiali e dei prodotti, eccedenza di personale, lontananza dalla stazione di Napoli e altro). Grandis sconsiglia quindi la gestione governativa del complesso e ne propone la vendita a privati o addirittura la demolizione. Il Governo, qualche anno dopo, cede Pietrarsa in gestione alla ditta Bozza che adotta subito una dura politica di licenziamenti e restrizioni che causano malcontento e azioni di protesta da parte degli operai. Fino ad arrivare ai violenti scontri del 6 agosto quando 30 bersaglieri caricano le maestranze provocando la morte di 7 operai e il ferimento grave di altri 20. Dopo l’agosto di sangue, Bozza chiede la rescissione del contratto d’appalto. L’Opificio viene, quindi, dato in gestione alla Società Nazionale di Industrie Meccaniche. Nei 7 anni della nuova gestione, vengono costruite, tra l’altro, 150 nuove locomotive ed eseguite 72 grandi riparazioni. Nonostante i lusinghieri successi internazionali (all’esposizione Universale di Vienna del 1873 viene premiata con una medaglia d’oro una locomotiva merci costruita a Pietrarsa), la forza lavoro viene ridotta a 100 operai… Il resto è storia unitaria, purtroppo…